Il cibo conteso: dalla sicurezza alla sovranitĂ  alimentare

Dal seminario di Trento “Fare cooperazione internazionale per la sovranità alimentare” emergono nuove tendenze della cooperazione allo sviluppo. L’Europa punta sulla selettività e sulla concentrazione dell’aiuto. Il nuovo ruolo dei privati e delle fondazioni filantropiche.

Era il primo degli obiettivi del Millennio dell’Onu da raggiungere entro il 2015: eliminare la fame e la povertà! Non è stato raggiunto, benché si siano fatti notevoli passi in avanti in altri campi, come la l’istruzione. Oggi il 90 per cento delle bambine dei bambini nelle aree in via di sviluppo ha accesso all’educazione primaria. Notevoli passi sono stati compiuti contro alcune malattie, come la malaria e la tubercolosi e la salute più in generale. La probabilità che un bambino muoia prima dei cinque anni è stata quasi dimezzata. Significa che si salvano 17mila bambini ogni anno. Si è dimezzata anche la percentuale di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Tuttavia la maggior parte delle mete, che si era prefissato l’Onu nel 2000, non sono state raggiunte. Un parziale fallimento e ora si parla di un’Agenda post 2015.

Il cibo torna, dunque, in primo piano, come ha detto l’assessore provinciale alla cooperazione allo sviluppo. Ma se sull’obiettivo dell’accesso al cibo di una fetta sempre più consistente di popolazione c’è consenso, questo manca quando si parla di agricoltura, di equità e, soprattutto, di sovranità delle terre e del cibo. Dalla distribuzione di cibo alle popolazione affamate si dovrebbe passare al diritto della terra da parte degli agricoltori. Ma questo si scontra con forti interessi economici, come la produzione di biocarburanti, di organismi geneticamente modificati, di un mercato che distorce il commercio del cibo, con Stati e multinazionali che si accaparrano fette enormi di terra (Landagrabbin). Antonio Onorati si è posto la domanda: “Profitti per qualcuno o cibo per tutti?”

Anche la cooperazione internazionale sta progressivamente cambiando volto. Se un tempo in Africa ci andavano i volontari, ora ci sono cinesi e giapponesi che stanno costruendo le grandi infrastrutture: strade, aeroporti e porti. Mentre il Brasile si è concentrato sull’agricoltura con l’acquisizione di grandi aree, soprattutto nei Paesi di lingua portoghese. Molti Stati puntano sempre più sulle relazioni bilaterali. Anche gli Stati stanno, infatti, cambiando pelle nella cooperazione allo sviluppo. La Ue punta sempre più sulla concentrazione e sulla selettività degli interventi, passando dall’aiuto alla partnership fra i diversi attori, come ha ricordato Valerio Bini. Gli Usa, invece, puntano a investimenti in pochi Stati, dove vi siano alcune indispensabili condizioni: il buon governo e libertà economica e diritti. Non solo: vi sono nuovi attori nella cooperazione internazionale. Oltre alle tradizionali Ong e alle associazioni di volontariato, ora si trovano a lavorare fianco a fianco anche organizzazioni di immigrati, cooperative e imprese sociali, e le grandi fondazioni come la Melinda e Bill Gates, che dispone di tre miliardi di dollari, pari quasi all’intervento dell’Italia nella cooperazione, o della Fondazione Rockefeller. Sempre più si parla di mescolare fondi privati e fondi pubblici, di cui c’è poca disponibilità in questo momento, per aumentare le risorse a disposizione. Anche la nuova legge italiana dell’agosto 2014 va in questa direzione e ha fatto entrare a pieno diritto il profit nel nuovo assetto della cooperazione internazionale.

Il 2015 è l’Anno europeo dello sviluppo, ha ricordato Fabio Pipinato, e si deve pensare a “fare sistema, ad agire insieme”.

Dunque: cambia la fisionomia degli interventi, cambiano anche gli attori.

  22 Maggio 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso