FRANCESCA CANDIOLI

FRANCESCA CANDIOLI

STUDENTESSA

Sono nata a Rovereto, nel 2011 aderisco al programma Giovani Solidali e parto per il PerĂą. Nel frattempo mi laureo a Padova in Giornalismo, inizio a collaborare con il quotidiano L’Adige e mi sposto a Bologna, dove sto terminando gli studi in “Cooperazione internazionale, sviluppo e diritti umani”. Nel 2014 trascorro un breve periodo in Palestina con Pace per Gerusalemme. Scrivo anche per Vita Trentina, Cronache Internazionali e Diecieventicinque.

Gaza, le immagini del dolore

Gaza, le immagini del dolore

Ogni volta che ci si trova davanti al dolore degli altri, bisogna decidere se abbassare la propria fotocamera oppure scattare. Lo sa bene Marco Longari, fotoreporter premiato dal Times nel 2012 come miglior fotografo di news del mondo, che quest’estate ha seguito direttamente da Gaza gli effetti dell’operazione Margine Protettivo. Qui in questa piccola striscia di terra, sotto embargo israeliano dal 2007 che l’ha trasformata nella prigione a cielo aperto piĂą grande del mondo, Longari ci ha passato dieci anni di vita.    Dieci anni di file ai check-point per accedere da Israele alla Striscia, dieci anni di morte e dolore evocati dalle sue fotografie, dieci anni di giostre che rimangono in piedi in mezzo alle macerie, e di gazawi che ritornano alla loro normalitĂ . Nonostante tutto.

                                                                                 “A raccontare la realtĂ  si impara con il tempo - spiega Longari -. La fotografia contiene anche il vissuto del fotografo perchĂ© si narra la realtĂ  in vari modi diversi. Siete voi che venite riflessi nella fotografia, ed è per questo che per raccontare c’è bisogno di aver visto delle storie”. Storie come quella di Fatma che in quella foto, destinata ad aprire le pagine dei giornali di tutto il mondo, proprio non vorrebbe esserci. L’unica cosa che desidererebbe piĂą di tutto è scomparire dentro il suo velo, mentre attende di essere medicata in un ospedale di Gaza City.

                                       Longari, piĂą che mostrarci la distruzione fisica dell’umanitĂ , utilizza il potere del non detto, restituendoci l’evocazione di ciò che sta accadendo, lasciando così a chi guarda la possibilitĂ  di pensare, e soprattutto di indignarsi. “Chi prova ad anestetizzare il dolore, produce immagini anestetizzate - continua il fotografo -. Il rischio piĂą grande è non ascoltare quell’onestĂ  che dobbiamo alla situazione. Non dobbiamo far rassomigliare la realtĂ  a qualcosa che non lo è. Dobbiamo invece essere autentici, e ballare allo stesso ritmo di chi fotografiamo”. Sì, proprio ballare. Non si può infatti raccontare Gaza, senza essersi inebriati delle sue storie e dei suoi odori. Non si può raccontare Gaza senza ballare allo stesso ritmo dei suoi quasi 2 milioni di abitanti. Ma non sempre è possibile, a volte si va anche fuori tempo. E allora lì, sì, la fotocamera deve essere riposta. Come quando Marco si è trovato di fronte ad un padre che, dopo aver atteso diverse ore in ospedale per reclamare il corpo del figlio ucciso, si è recato subito dalla moglie. PerchĂ©, così accade in Palestina, un parente prima di essere seppellito, deve ricevere l’ultimo saluto dalla madre, dalla figlia o dalla nipote. Un brevissimo saluto, l’ultima carezza, l’ultima lacrima e via verso la cerimonia, alla quale loro non partecipano. Un rito che Longari ha fotografato tante volte negli ultimi dieci anni, ma non quel maledetto giorno. A quel signore avevano consegnato il corpo di un altro bimbo ucciso che dall’altra parte della cittĂ  aspettava la sua mamma, ma non quello di suo figlio. Ed il rito si era rotto, ed ormai Marco era giĂ  fuori tempo.

 

Per parlare con Francesca Candioli scrivi a: trentino.solidarieta@provincia.tn.it

  17 Gennaio 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso