
Cooperazione, la mia prima esperienza
Mi si è chiesto di scrivere qualcosa sulla cooperazione.
Ho incontrato il mondo della “co-operazione con i paesi in via di sviluppo” italiana quando, 30 anni fa, di “co-“ e di “con” non c’era nulla. Per anni, nei programmi di organismi, governativi e non (degli Organismi Non Governativi) non ho mai visto né una riga né un’azione volte a trasmettere competenze ai “locali” operando “insieme”. Ho notato in quel periodo una sola eccezione: un progetto pluriennale in cui era prevista l’assunzione di un “locale” e il suo training affinché ciò che si produceva potesse essere utilizzato e portato avanti localmente. Il progetto era, guarda caso, commissionato e finanziato da un ente non italiano, anche se i “cooperanti” erano italiani. “Finalmente!” ho detto loro, ma quelli mi hanno risposto che non “potevano perdere tempo; dovevano produrre”. Ed è stata infatti prodotta un’opera notevolissima, ma assolutamente inutile, perché mai utilizzata e utilizzabile da nessuno. Il solito pesce, per di più non digeribile, e niente lenza. Potrei parlare a lungo di queste cose. A suo tempo l’ho fatto, pubblicamente, e molto mal me ne incolse (però “molti nemici, …”). Credo che abbia portato dei risultati.
Qui mi fa molto piacere sottolineare che di questo peccato (anzi delitto, perché si tratta di sperperare soldi di tutti) la Provincia di Trento non si è mai macchiata, anzi è stata esemplare fin dall’inizio, imponendo per tutti i progetti finanziati un “partner locale”: un ente autoctono con nome e cognome, certificato di nascita e curriculum. Credo sia stato il primo esempio e, per parecchi anni, l’unico.