Nicola, l’italiano di Facebook: «Porto Zuckerberg in Africa».

Nicola, l’italiano di Facebook: «Porto Zuckerberg in Africa».

«Negli ultimi tre anni credo di aver preso così tanti aerei da raggiungere la luna». Scherza Nicola D’Elia ma neanche troppo. Trentotto anni, un passato da cooperante, oggi è l’uomo che sta aiutando Mark Zuckerberg a portare il web in Africa e nei Paesi emergenti del Sudest asiatico e del Sudamerica. Per Facebook è responsabile delle partnership con gli operatori di telefonia mobile locali che dovranno consentire a Menlo Park di dotare di una connessione quel 75 per cento della popolazione rimasta ancora senza accesso alla rete. «L’obiettivo di Internet.org (questo il nome del programma, ndr ) è molto ambizioso», spiega. Tradotto, significa far salire gli utenti di Facebook a 5 miliardi (oggi sono 1,3). Aerei, telefoni, conferenze telefoniche e riunioni su WhatsApp. È difficile trovare Nicola fermo. Sul suo profilo Instagram si legge una massima di Mark Twain: «Viaggiare è fatale per i pregiudizi, i bigottismi e per le menti ristrette». Mamma gli ha insegnato l’inglese. Papà il francese. Da solo ha studiato spagnolo. Sarà anche per questo che D’Elia si sposta di continuo, tra Londra, lo Zambia, il Kenya e la Tanzania, i primi tre Paesi scelti da Zuckerberg per tessere una fitta trama di partnership. E per i prossimi anni Nicola ha una «missione» ancor più delicata. «Mark non è mai stato in Africa ma vorrei portarcelo». I punti in comune tra i due sono tanti. Su tutti, lo scarso idealismo e la voglia di guardare lontano. Origini campane, una laurea in ingegneria delle telecomunicazioni a Pisa, poi un’esperienza in Accenture, fin dagli inizi D’Elia capisce presto che l’Italia gli va stretta. Prima lavora in Namibia. Poi, dopo la seconda guerra del Golfo, per sei mesi è in Kuwait per un programma di assistenza alimentare con la Ong Intersos.

L’Africa chiama, sempre più giù. «Dopo il Medio Oriente sono finito in Uganda per tre anni con Gsma, l’organizzazione mondiale di telefonia mobile, studiavo come usare le energie per la connettività». A un certo punto Nicola sente il bisogno di tornare a casa. Ma guai a mettersi seduti. Così approfitta della «pausa» per prendersi un Mba (il Master in business administration ndr ) a Cambridge. Ed è a quel punto che Mark lo chiama alla sua corte. «Ero l’uomo giusto in quel momento». Oggi fa base a Londra. Ma è difficile trovarlo vicino al Tamigi. Chi se lo immagina alle prese con i droni, i laser e le mongolfiere con cui altri colossi della Silicon Valley stanno «cablando» l’Africa, rimarrà deluso. «A Facebook stiamo lavorando anche a questo. Ma si tratta del futuro, allo stato attuale sono gli accordi che chiudiamo con le compagnie di telefonia in Africa ce ne sono più di duecento che stanno dando buoni risultati». La missione civilizzatrice di Menlo Park per lui si riassume nel racconto di un allevatore di polli dello Zambia che racconta come grazie a Internet.org abbia appreso le nozioni basilari sanitarie per evitare il contagio dei suoi animali. Non male ai tempi di Ebola. Zuckerberg tre anni fa ha chiamato intorno a sé Nokia, Ericsson, MediaTek, Nokia, Opera, Qualcomm e Samsung. «Con un telefono (non necessariamente uno smartphone) puoi migliorare le tue condizioni di vita». Basta un’app per Android o una url (indirizzo internet ndr ) e Wikipedia e Facebook appaiono in una capanna di fango. «Molte persone sanno cosa sia internet ma non sanno cosa farci. E il mio lavoro è far sì che possano usarlo gratis per qualcosa di utile», sintetizza D’Elia. Fa niente se la molla di tutto è l’espansione dei confini dell’impero di Mark. «L’importante è cambiare la vita della persone». Partendo da lontano.

In breve: 100 milioni sono gli utenti di facebook in Africa. L'80 per cento accede dal telefonino. 200 sono le compagnie telefoniche in Africa. Con il cellulare si fanno anche transazioni economiche. 2,7 miliardi sono le persone che oggi hanno accesso a Internet: circa un terzo della popolazione mondiale. Internet.org è il progetto con cui Mark Zuckerberg vuole portare Internet nei Paesi in via di sviluppo, a partire da quelli dell'Africa.  

 

Fonte: Corriere della Sera

  19 Febbraio 2015
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