La neonatologia trentina negli ospedali di Myanmar

E' il Paese del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, dopo mezzo secolo di dittatura militare, la Birmania sembrava pronta una nuova stagione democratica. Ma lo scorso anno sono scoppiate forti proteste e a novembre di quest'anno si dovrebbero tenere libere elezioni. Gli Amici della Neonatologia Trentina hanno portato il loro aiuto e la loro esperienza in due ospedali. Ecco il racconto di un rappresentante dell'associazione trentina.

di Carlo Ceolan

Ho avuto modo di vistare due ospedali a Yangon, già oggetto dei progetti Amici della Neonatologia Trentina in questi anni. I due ospedali sono il Central Women Hospital ed il Yangon Children Hospital: nel primo si sono registrati circa 9000 parti nell’ultimo anno mentre il secondo, dove non vi sono parti, accoglie migliaia di pazienti all'anno provenienti da altri centri che non sono in grado di fornire l'adeguata assistenza ai neonati prematuri e patologici. Si tratta quindi di strutture importanti, abituate a gestire flussi consistenti di pazienti e rappresentano l'eccellenza in Myanmar per quanto riguarda la cura materno infantile.

Entrambe le strutture dall'esterno risultano all'occhio di un occidentale un po' raffazzonate e confusionarie, i corridoi e le stanze sono sempre affollate di persone ed il caldo umido che permea l'ambiente amplifica la sensazione di malessere.

L'accoglienza che ci riserva il personale birmano è proprio come mi avevano raccontato altri che, prima di me, avevano visitato il Paese: tutte le persone che ho incontrato si sono rivelate più che cordiali e disponibili oltre che vogliose di spiegarci il loro lavoro ed i progressi raggiunti.

In questi due ospedali abbiamo già realizzato due progetti, il primo nel 2011 ed il secondo nel 2013, nei quali abbiamo donato alcuni macchinari e supportato la formazione del personale. Ero quindi piuttosto ansioso di vederne i risultati.

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Entrambi i reparti di terapia intensiva neonatale mi hanno impressionato positivamente: i locali si presentavano molto ordinati e puliti, al muro vi erano ovunque flaconi di alcool sterilizzante per prevenire le infezioni, i macchinari erano utilizzati correttamente e l'organizzazione generale del reparto mi è parsa più che sufficiente. I dati raccolti dal Central Women Hospital confermano questa mia impressione: nel 2013 il tasso di mortalità neonatale si è attestato al 14,72 per 1000, un dato sensazionale se paragonato alla media del Paese che è ancora del 50 per 1000 (dato ufficiale che però non tiene conto di molti fattori ed è con tutta probabilità molto più alto) ma tuttavia ancora molto distante dalla media italiana del 3,36 per 1000 e da quella trentina 1,9 per 1000.

La qualità del servizio offerto da questi due centri ci da la forza per continuare il nostro lavoro in Myanmar, se è vero infatti che si sono raggiunti degli ottimi risultati bisogna ricordare che il resto della rete nazionale di ospedali è ancora molto arretrata. Il problema che ci hanno sottoposto i dottori di questi ospedali è appunto l'enorme flusso di pazienti da gestire ed a cui fanno fatica a far fronte. Questo accade perché questi due centri sono i più attrezzati del Paese, gli unici in grado di gestire certe complicazioni e devono quindi accogliere tutti i casi più disperati che arrivano da tutto il Myanmar. Ho avuto modo di parlare con una mamma appena arrivata col suo bambino, il viaggio in taxi è durato 7 ore ed è costato come 4 mesi di lavoro, circa 200 dollari, ma per fortuna il suo piccolo ha trovato una cura ed era fuori pericolo. Non tutte però sono così fortunate, questi viaggi spesso finiscono in tragedia per patologie che sono facilmente curabili ma a cui purtroppo gli ospedali periferici non possono far fronte.

Per queste ragioni, dopo che ci siamo dedicati agli ospedali nazionali abbiamo in programma per il 2015 un progetto che coinvolge 7 ospedali periferici del Myanmar, in modo da estendere la rete di ospedali in grado di offrire un livello di cura neonatale adeguato ed andare così ad incidere sui dati di mortalità infantile del Paese.

 

  01 Luglio 2015
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Osservatorio balcani e caucaso