La donna di Kathmandu contro la violenza

La donna di Kathmandu contro la violenza

Renu Sharma è presidente della Women’s Foundation of Nepal e ha organizzato la prima manifestazione di donne per le vie di Kathmandu contro la violenza. Una protesta che ha destato scalpore e che ha consentito di far emergere nell’opinione pubblica un tema volutamente represso dalle autorità e dalla società nepalese. La sua Fondazione offre protezione alle donne e ai bambini vittime delle violenze, in case che vengono considerati dei rifugi segreti perché non siano individuati da mariti e parenti delle donne. In questo momento sta offrendo ospitalità a 45 donne e 190 bambini.

Com’è la situazione delle donne in Nepal?

Le donne e i bambini non hanno paritĂ  di diritti rispetto agli uomini; stiamo combattendo una grande battaglia. Molti subiscono violenze senza distinzione di classe o di casta. Nei nostri rifugi abbiamo anche la moglie di un parlamentare, ma anche di avvocati, di poliziotti... Anche membri del governo sono violenti con le loro mogli.

Può fare qualche esempio del tipo di violenze?

Un padre ha perso alle carte la propria figlia di nove anni. La bambina è stata portata in città a Kathmandu e fatta maritare con un uomo di 30 anni, che era pure lebbroso. Ci è stato segnalato il caso e siamo andati a prendere la bambina e l’abbiamo salvata. In un nostro rifugio c’è anche una bambina di due anni, orfana di madre e con il padre in galera. I due fratelli sniffano colla per le strade della capitale. Il padre, prima di finire in galera, ha violentato la bambina.

 

Ma le violenze non sono solo sessuali!

No, infatti. Succede spesso che i bambini e le bambine siano trattati come schiavi negli alberghi. Se non vengono venduti, sono “affittati” a 50-100 dollari all’anno. Tantissime famiglie vendono i figli, che poi vengono portati in Arabia Saudita, Indonesia, Malesia... Per farli espatriare, falsificano i passaporti e l’età.

Anche la borghesia nepalese non è immune dalle violenze.

Purtroppo è così. Recentemente una di sette anni è andata a lavorare da un giudice, che dovrebbe conoscere la legge, eppure è trattata come schiava. Se non c’è una denuncia, noi non possiamo intervenire. E in questo caso c’era un accordo fra il magistrato e la famiglia della piccola.

La società è patriarcale e le donne sono considerate inferiori agli uomini.

Vero, ecco un altro esempio per rimanere in tema. Le vedove sono considerate delle streghe, perché si pensa che abbiamo fatto morire i loro mariti. E sono ancora più discriminate. Nelle zone verso il Pakistan, le donne, durante il periodo mestruale, debbono andare a vivere sotto un albero o in una capanna, lontano dalla loro famiglia. Quasi fosse infetta, impura.

Ma dopo la famosa manifestazione delle donne a Kathmandu la situazione è cambiata?

Rispetto al passato la situazione è migliorata ma c’è ancora molto da fare. La nostra Fondazione ha avuto una forte accelerazione sul piano organizzativo: ora abbiamo 72 diversi gruppi e 3.000 donne impegnate in tutto il Paese. Facciamo microcredito per piccole attività femminili, diamo supporto legale gratuito, assistenza sanitaria. Altre donne insegnano a fare il sapone, a commercializzare il tè, crescere gli animali, gestire fattorie, creare cooperative, mettere in piedi negozi di bellezza. E poi c’è la nostra piccola produzione di sciarpe, che vogliamo esportare anche in Italia.

Le proteste delle donne continuano ma anche la piaga degli stupri continua a essere impunita.

Le proteste ci sono state anche qualche settimana fa. Purtroppo il numero di stupri in Nepal è altissimo. Alcuni anni fa hanno ucciso 24 donne in meno di tre settimane. Sono state violentate e bruciate con il kerosene. Noi siamo scese in piazza ma nessuno degli autori è stato arrestato.

L’istruzione consente alle ragazze di emanciparsi.

Sì, le ragazze vanno a scuola, qualche legge è pure cambiata. Anche sul diritto di famiglia la situazione è cambiata: per nascita figlio e figlia hanno gli stessi diritti. Ora le ragazze possono giocare a pallavolo fra di loro. Un tempo era impensabile.

 

Il reportage fotografico è di Mirco Basso.  

  02 Marzo 2015
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Osservatorio balcani e caucaso