I trafficanti di uomini

I trafficanti di uomini

Altro che scafisti! “Dietro alle decine di migliaia di migranti che ogni anno arrivano in Europa c’è un’industria di grandi professionisti del crimine, gente in doppiopetto, uomini d’affari il cui fatturato mondiale è secondo a quello della drogaâ€, questa la frase sulla quarta di copertina del libro Confessione di un trafficante di uominiâ€, scritto, poco più di un anno fa, da Andrea De Nicola insieme a Giampaolo Musumeci, per Chiare Lettere. Nell’intervista che segue De Nicola parla di traffico di uomini, di business stratosferici a nove zeri, di organizzazione criminale planetaria. Le sue parole toccano anche il Trentino, la cooperazione e la solidarietà internazionale.

Andrea Di Nicola è, infatti, considerato un esperto: professore dell’Università di Trento, docente di criminologia. Ha diretto e partecipato a più di 40 studi internazionale e nazionali per la Commissione Europea, il Parlamento Europeo, per i ministeri dell’interno, delle pari opportunità e della giustizia.

Professor Di Nicola, nel suo libro descrive il fenomeno migratorio, come una multinazionale del crimine.

Per scrivere questo libro abbiamo fatto un viaggio di due anni, siamo stati in Egitto, in Tunisia, sulla Manica, sul confine fra Grecia e Turchia. Siamo entrati in alcuni carceri italiani, siamo andati a trovare i trafficanti di migranti, di richiedenti asilo. Noi guardiamo gli scafisti, gli arrivi dei migranti sulle nostre coste, parliamo di clandestini, che molto spesso sono richiedenti asilo, ma non ci chiediamo che cosa c’è dietro a quella organizzazione.

Cosa c’è dietro?

Dietro c’è un’impresa, con professionalità e organizzazione. C’è una rete molto fluida e flessibile di agenti, di piccoli e medi boss che lavorano e collaborano tra loro. E si scambiamo anche quelli che loro chiamano clienti. C’è una rete di fiducia, perché alcuni di loro, come El Douly, che significa “l’internazionaleâ€, un trafficante egiziano che abbiamo incontrato al Cairo, collabora con altri trafficanti subsahariani, con trafficanti egiziani, con tribù libiche. E lui diceva, quando gli abbiamo chiesto se è un boss di spessore: “Ragazzi non avete capito niente, non siamo mica come i mafiosi del vostro stato, noi siamo amici, abbiamo fiducia gli uni degli altriâ€. Questi trafficanti lavorano sulla base della collaborazione, della fiducia e di un opportunismo criminale. Dietro, dunque, c’è un business, c’è dietro organizzazione, c’è un’agenzia di viaggi.

Qual è il fatturato di queste organizzazioni?

Altissimo. Le Nazioni Unite arrivano a stimarlo fino a 10 miliardi di dollari. Un trafficante di alto livello turco arriva a fatturare, si fa per dire: è tutto in nero, 6-7 milioni di euro l’anno.

Cosa si può fare contro queste organizzazioni, affondando i loro barconi?

Se affondare i barconi significa far morire richiedenti asilo, direi che nessuno propone questo. Se li distruggiamo sulla terra ferma, significa guerra alla Libia o qualche problema internazionale. L’attuale situazione è come un colapasta, se io tappo i due buchi in Libia, i trafficanti vanno da un’altra parte. Ripartono dalla Tunisia, dall’Egitto, dalla Turchia, arrivano con gli aerei, attraverso i Balcani. Solo lì passano 60 mila persone l’anno. L’Italia è stata l’unica a tenere alta la bandiera europea. All’estero i trafficanti ridono dell’Europa, le vulnerabilità istituzionali europee sono le loro opportunità, ce l’hanno detto guardandoci negli occhi. La fortezza Europa è il loro business: “Così noi aumentiamo i prezziâ€, hanno detto.

Esiste una ricetta contro questo imponente traffico?

La ricetta deve essere europea. Noi abbiamo scritto 15 punti, come “Spuntare le armi ai trafficanti†e al loro modo di operare. Se vado a intervenire solo militarmente o con la repressione – sia chiaro questi dobbiamo metterli in galera – ci dimentichiamo l’intervento umanitario, ci dimentichiamo che i migranti hanno quasi tutti diritto di asilo. Ci dimentichiamo che ci vuole assistenza e che questo è un fenomeno mondiale. Certo che li dobbiamo recuperare in mare, li dobbiamo salvare: sono profughi, ma li si deve “gestire†insieme a tutta l’Unione Europea. Questo è il pilastro umanitario, ma poi non dobbiamo dimenticarci del pilastro della prevenzione, altrimenti è come un colabrodo: il fenomeno continuerà. Alcuni trafficanti sono lì da 15 anni a fare il loro cosiddetto lavoro.

Ma la macchina dei trafficanti è ormai una multinazionale?

Vero, occorre organizzare innanzitutto alcuni campi profughi, così arrivano fino in Egitto, Tunisia… poi questi richiedenti asilo possono prendere anche l’aereo per raggiungere l’Europa. Non è accettabile che dalla Turchia giungano a noi con gli aerei cargo, come settimane fa. Mille persone su ogni cargo ed erano 5 o 6 cargo. Sa quanto vale un cargo? Mille persone per 5 o 6 mila dollari, vuol dire sei milioni di dollari!

C’è anche un altro pilastro che si chiama cooperazione internazionale.

È un pilastro trasversale, è una nuova dimensione europea. La cooperazione allo sviluppo può servire molto ma è più lenta. Noi, come Trentino, abbiamo molto da dire in questo ambito, ma non in modo assistenzialismo, terzomondista, buonista. Credo che il Trentino stia già facendo molto, sono gli altri che devono copiare la ricetta trentina. Occorre aiutare queste persone a crescere nei loro luoghi senza cannibalizzarli. Se, invece di spendere risorse in modo scoordinato, riuscissimo a coordinarci verso alcuni Paesi da cui partono i flussi, la situazione cambierebbe. Queste persone che scappano da guerre e da carestie ci fanno paura. I più sono qui perché hanno diritto: sono richiedenti asilo. Ma in Trentino scatterà la molla della solidarietà, che vince sulla paura. Credo che il Trentino dovrebbe continuare con questa sana solidarietà.

  22 Aprile 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso