Conferenza di Lima sul clima: solo promesse?

Conferenza di Lima sul clima: solo promesse?

di Silvia Debiasi

Dopo circa un mese dal mio rientro in Italia posso dire di aver rielaborato i numerosi input avuti a Lima (Perù) il mese scorso dove, grazie al progetto dell’Agenzia di Stampa Giovanile, finanziato tra gli altri dalla Provincia di Trento e dall’Osservatorio Trentino sul Clima, ho potuto partecipare a numerosi eventi, il più importante dei quali è stata la COP20, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico. Ma non solo: ho infatti potuto assistere alla Conferenza dei Giovani, alla Cupola dei Popoli, alla Marcia dei Popoli per la Giustizia Climatica e visitare diversi progetti attivi in Perù grazie anche al sostegno della Provincia di Trento.

I giorni precedenti la Conferenza ufficiale sono stati dedicati alla COY10 – Conference of Youth, la conferenza dei giovani sul cambiamento climatico, che ha portato alla stesura e all’approvazione della prima Dichiarazione dei Giovani. La votazione dei diversi articoli della Dichiarazione è stata un momento significativo, perché giovani provenienti da tutte le parti del mondo stavano decidendo la direzione che volevano che l’umanità intraprendesse. In quel momento non sono esistiti confini, barriere linguistiche o culturali, ma si è respirato aria di unità e voglia di lavorare assieme per dare il proprio contributo al benessere di tutti. Nei punti della dichiarazione più dibattuti o che non convincevano alcuni, la strada seguita è stata quella del confronto, con domande, delucidazioni e modifiche che consentissero a tutti di essere soddisfatti. Un esempio da seguire.

L’esperienza della COP20, la Conferenza ufficiale, è stata invece più complessa. Alcune sedute erano strettamente riservate ai negoziatori e in quei casi faceva un certo effetto sapere che a pochi metri da noi si prendevano decisioni di respiro mondiale. E’ anche da queste decisioni che, tornata in Italia, prosegue il mio lavoro di ingegnere ambientale. E’ anche da queste decisioni che, tornata in Italia, si basa la mia passione per la proposta di progetti nei Paesi in Via di Sviluppo. E’ anche da queste decisioni che proseguirà l’economia e il benessere del nostro Paese e soprattutto il nostro futuro. O forse no? Forse la Conferenza di Lima non è stata poi così significativa?

Il Documento finale non contiene decisioni e direttive incisive, anche se è ormai chiaro che tutti sono in attesa della prossima conferenza, che si terrà a Parigi a fine anno, e dalla quale ci si aspetta la firma di un accordo vincolante. Tornata da un mese, dopo aver riflettuto sui numerosi spunti, traggo quindi le stesse conclusioni dei più: un’altra occasione persa. I cambiamenti climatici, così come riportati dai numerosi studi e come ormai dato per assodato da tutti, sono già in atto, e siccome le azioni per la mitigazione delle emissioni e quelle di adattamento sono lente, non ci possiamo permettere di perdere tempo.

I diversi studi effettuati concordano sul fatto che, se non verrà attuata alcuna azione di mitigazione delle emissioni, la temperatura a fine secolo aumenterà mediamente di 8°C. Per contenere questo aumento a soli 2°C è necessario ridurre le emissioni del 70% entro il 2020. Obiettivo che l’Unione Europea sta tentando di raggiungere, ma che altri Paesi invece trascurano ancora, se si pensa che poco prima della Conferenza la Cina ha annunciato che le sue emissioni continueranno ad aumentare nei prossimi anni, raggiungendo il picco nel 2030, anno dal quale dovrebbero iniziare a diminuire. Troppo tardi.

Ma il discorso è complesso. Parlando con un ragazzo cinese ci viene detto: “La Cina sta crescendo ma ci sono ancora molte disuguaglianze e molte le zone povere. Ridurre le emissioni significherebbe smettere di crescere e condannare quelle aree ad un mancato sviluppo.” Il Presidente della Bolivia, nel suo discorso finale, dichiara: “I Paesi sviluppati ci dicono di non aumentare le nostre emissioni. Come faccio a dire alla mia gente che non posso portare l’energia elettrica nei villaggi perché inquina?”.

Le conclusioni non sono facili né scontate. Mettere d’accordo tutti è quasi impossibile. I diversi punti di vista possono dare ragione a tutti: non si può pretendere di bloccare lo sviluppo di alcuni Paesi, ma non è realistico pensare che quelli più avanzati interrompano la loro corsa. Serve uno sforzo congiunto, ma i finanziamenti, si sa, scarseggiano. E su questo punto traggo la mia conclusione finale: il cambiamento climatico non è un problema ancora così sentito da muovere i voti e il denaro necessario a far fronte alla crisi a cui stiamo andando incontro.

A quanto pare ci sono sempre problemi più urgenti. L’attesa è quindi per Parigi, a fine anno. Se questo servisse a far firmare un accordo vincolante e incisivo da tutte le economie forti, un anno di ritardo non sarebbe nulla, ma anzi sarebbe servito a far maturare i tempi. E dunque attendiamo che i tempi maturino, sperando che non sia troppo tardi.

Silvia Debiasi, ingegnere ambientale. Ha svolto brevi esperienze in Africa (Uganda e Eritrea) nel campo della solidarietà internazionale, per la risoluzione di problemi dell’erosione nei centri abitati e per la costruzione di infrastrutture. Attiva in associazioni di volontariato trentine, lavora per la redazione di documenti per la stima delle emissioni dei comuni e l’individuazione delle azioni per il loro abbattimento.

 

  15 Dicembre 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso